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Settimo Comandamento

Carissimi un saluto di pace e bene a tutti voi nell’amore del Signore, continuiamo il nostro cammino sui comandamenti dell’amore. Di seguito il Settimo Comandamento:

 “Non rubare”

Il settimo comandamento proibisce di prendere o di tenere ingiustamente i beni del prossimo e di recare danno al prossimo nei suoi beni in qualsiasi modo. Quando si pensa o si discute di questo comandamento si pensa a ladri e rapine, non è al ladruncolo di strada che si rivolge unicamente, ma anche a chi abusa di lavoro, alle vendite contraffate, ai traffici di organi e di bambini, e a non rispettare il bene dell’altro. Questo settimo comandamento ci richiama a essere onesti, a ringraziare Dio per quello che abbiamo e a non avere questa sete di guadagno, di possesso. Rispetto per guadagna il pane sacrificandosi, bisogna aver rispetto per il bene dell’altro, per la salute altrui, è un atto di amore per il prossimo. Il settimo comandamento ci prescrive la pratica della giustizia e della carità nella gestione dei beni terreni e dei frutti del lavoro umano. Il settimo comandamento proibisce il furto, che consiste nell’usurpare il bene altrui, contro la volontà ragionevole del proprietario.

“Non dobbiamo lasciar mancare l’aiuto al nostro prossimo, perché nei nostri fratelli serviamo Gesù”. (Mi basta quello che ho)

Questo comandamento, che intende proteggere dalla disonesta e dagli abusi, era rivolto al popolo di Israele. Chi era povero era costretto a vendersi come schiavo in riscatto del dovuto. Oggi non è molto diverso da allora, anzi, vuole fare riferimento a quei tanti abusi che si fanno, nel lavoro, nel guadagno disonesto, nello sfruttamento, ore di lavoro non pagate, dipendenti costretti a lavorare di più, il traffico di schiave e tanto altro, queste sono ingiustizie che devono smettere, l’abusare è un peccato grave per l’uomo. Nell’osservanza del settimo comandamento è determinante la fiducia vicendevole. La perdita di fiducia ha dunque il suo risvolto economico. Molti pensano che il furto sia una trasgressione leggera, facile da scusare, ha comunque come risultato il deterioramento delle relazioni sociali. Il comandamento di Dio vuole impedire che predominino il sospetto e la sfiducia tra gli uomini. Questo comandamento vuol far capire che bisogna vivere con quel che ci si guadagna onestamente con il proprio lavoro, non bisogna guardare l’altro che fa o non fa, e neanche essere gelosi di chi ha più beni, ma bisogna essere generosi nel dare e nel non essere avidi su se stessi. La carità avrà sempre la meglio, dice Gesù. Il nostro guadagno deve essere quello per il regno dei cieli, non quello che deteriora e poi passa.

Dalle Meditazioni sulla “Vita interiore” di p. Gabriele di S. M. Maddalena. “La confessione dei peccati è il sacramento del sangue di Cristo, di cui Dio — secondo l’espressivo detto di santa Caterina da Siena — << ci hai fatto bagno per lavare la faccia delle anime nostre dalla lebbra del peccato>>. Non disprezzate il Sangue di Cristo! Esclama santa Caterina , e certamente chi lo apprezza non si accosterà con leggerezza alla confessione. A tale scopo è utile riflettere che l’assoluzione è appunto l’effusione del sangue prezioso che, inondando e penetrando l’anima, la purifica dal peccato, e le restituisce la grazia santificante se l’ha perduta o l’aumenta se già la possiede. Da qui l’importanza della confessione, frequente, per un’anima che, anelando all’unione con Dio, deve necessariamente aspirare ad un purificazione totale. Quanto più il penitente porta alla confessione un cuore contrito, tanto più il sangue di Gesù lo purifica, lo rinnova, lo arricchisce di forza, di carità, di grazia.