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Afragola. “E’ venuto per vestire gli ignudi…”

Nei giorni 17 e 18 dicembre si è tenuta nella parrocchia di Santa Maria delle Grazie di Afragola la seconda edizione del presepe vivente. La sacra rappresentazione ha avuto vasta eco e gran concorso di persone confermando il successo della prima edizione tenutasi lo scorso anno. Il parroco don Vincenzo Polito ci ricorda che vestire gli ignudi è un’opera di misericordia corporale che può e deve essere praticata da tutti. Quest’opera racchiude l’importantissimo gesto di donare o meglio restituire dignità all’umanità abbandonata, emarginata o meglio ancora trascurata. Il dono di una veste non è soltanto il gesto di consegnare al prossimo, chiunque esso sia, vicino di casa, concittadino o migrante che ha lasciato la propria terra perdendo tutto, un indumento. Significa ridonare al prossimo la propria dignità disconosciuta o cancellata. Un indumento non serve solo a coprire un corpo ma è strumento per comunicare a chi lo riceve, calore umano. Un aiuto che avvolge, in senso lato, corpo ed anima di chi riceve è testimonianza di accoglienza da parte di chi dona. In questo modo è possibile mettere in pratica l’opera di misericordia corporale che si realizza   non resta solo gesto esteriore e vuote parole.
Dio stesso, dopo la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso, li ricopre quale segno tangibile di pietà e disponibilità al perdono,  fece all’uomo ed alla donna tuniche di pelle e li vestì (Gen. 3,21);
Egli stesso pensando alla sua creatura la ricopre per rispettarne la dignità.
foto presepe viventeCome afferma la lettera pastorale del Cardinale Sepe, vestire gli ignudi implica anche occuparsi  della loro anima, di quella interiorità personale, che necessita più di ogni altra cosa di custodia e difesa. Vestire, talvolta, è restituire al prossimo, che ne beneficia, la propria identità. Ciò l’aveva bene inteso San Martino di Tours che, senza indugio, divise il suo mantello col prossimo, col diseredato, con l’Uomo in difficoltà.
Gesù viene al mondo nudo in una stalla, in un paese povero; nudo come ogni bambino e con la sua nudità ci ricorda il divino precetto. Egli stesso nel farsi uomo ha condiviso con l’umanità intera la fragilità e la necessità di essere ricoperto. Viene come bambino, essere indifeso, in una famiglia che lo accoglie, lo veste e l’avvolge di amorevoli cure. E’ la famiglia che diviene così abito per il neonato, futuro uomo.
Questo è l’esempio ed il ricordo che ci viene mandato. Come afferma la esortazione “Amoris Laetitia” la coppia che ama e genera la vita è la vera scultura vivente, capace di manifestare il Dio Creatore e Salvatore. La lettera pastorale del Cardinale Arcivescovo di Napoli Sepe afferma in modo mirabile che Dio si è preoccupato di fasciare la nudità dei nostri progenitori e così la famiglia umana si prende cura delle nostre nudità, delle nostre carenze, delle nostre quotidiane fragilità.
Possiamo, quindi, affermare che Cristo nasce nudo per indicarci cosa fare in modo chiaro ed inequivocabile cioè rivestirlo. Ci ricorda che ricoprendo il prossimo nostro, lì nudo innanzi a noi debole e fragile, potremo scorgere nei suoi occhi quelli di Dio, gli occhi del Signore che alberga nel prossimo. Egli viene per vestire gli ignudi e ci ricorda nella sua infinita misericordia che “ogni volta che avete fatto questo a uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25).
                                                                                                  Paolo Sautto